(preciso che il numero ordinale l’ho scritto in lettere solo perché non so dove diavolo si trovi sulla tastiera lo strafottutissimo cerchiolino che dimostra competenza).
Dicevo:
il “mio”, in realtà, primo Campaccio.
Alla tenera età di 46 anni ho partecipato in qualità di spettatrice e sostenitrice alla gara campestre più nota del circondario (circondario che, evidentemente, lambisce i confini del Kenya e dell’Uganda... chissà come fanno con i mezzi pubblici... ah, già, questi corrono!).
Preciso che avrei voluto, ma non mi sono sentita di partecipare alla gara per un sentore di evidente indegnità, confermata dalla prestanza fisica e dalla giovane età (...tacci loro) dei partecipanti.
In ogni caso, pur essendo rimasta con le zampe inchiodate, ho potuto godere (Capasso non dire niente) di una gara che, realtà, è stata una festa grandiosa. Gente che andava e gente che veniva, tutti con il sorriso che solo lo sport regala indistintamente, che tu sia bianco, nero, verde, bello, brutto, giovane o stagionato o da internare come me.
Sorrisi spacciati alla grande come pusher navigati anche da tutti gli organizzatori (alcuni alti sette metri, altri sette centimetri che il pass al collo rischiava di farli inciampare), dai tifosi, da genitori urlanti e pronti con tanto di salamella fumante a rifocillare la progenie in gara e da allenatori posseduti da qualunque divinità. Mi sono nutrita di tutta questa allegria (ma non ho disdegnato l’ottima salamella che mi si è prontamente stratificata sui glutei), mentre facevo proselitismo per la squadra cui indegnamente appartengo (Runners Legnano), imponendo il volantino ai passanti come la benedizione sulle folle. E, nonostante ciò non mi si addica, ho invidiato: si, vostro onore, lo confesso.
Sono colpevole. Ho invidiato il talento sportivo di questi atleti che aggredivano il fango con la stessa veemenza con cui io aggredisco una carbonara fatta bene (col guanciale, ovvio).
Ho invidiato le cosce, i muscoli, la capacità di non mollare; la forza , il coraggio, la giovinezza, la felicità della vittoria e la soddisfazione della medaglia al collo. Ho invidiato la voglia di mettersi alla prova di tanti amici “normali” che hanno gareggiato per il puro brivido di dire “ce l’ho fatta!”. Ho invidiato anche l’appagamento di chi ha reso tutto questo possibile, di chi - come me - crede ancora nello sport e lo pratica con la presunzione dell’arteriosclerosi.
In realtà ho invidiato pure chi ha incontrato e salutato Baldini che io non riesco mai a beccare, ma forse è meglio così (per lui).
Ho riso a crepapelle con “Il fotografo furfante” (ce n’è uno solo) che si spaccia per nonno mistico, ma ha una mira selettiva con l’obiettivo che neanche tutti i cecchini del mondo!
Ho desiderato di poter affondare le scarpette in quel percorso altalenante ma bellissimo. Ho applaudito, gridato, incitato i runners con un amico pazzo, dotato di due telefoni (uno per le foto ed uno per le slow motions, ma secondo me aveva anche il “salvalavitabeghelli” appeso al collo).
Va bene concludo: è stata una meraviglia!
Voi continuate tutti così che io mi alleno per l’anno prossimo (a beccare Baldini si intende).
Mirta (runner ostinata) Marando.
Cara Mirta,
RispondiEliminaho il privilegio e il piacere di essere il Race Director del Campaccio (è stato il mio primo da Coordinatore questo 61° Campaccio!).
Volevo personalmente ringraziarti per le tue parole, sono un inno alla gioia del nostro sport e gratificano senz'altro anche i volontari del Campaccio Cross Country.
E - ti prego - l'anno prossimo vienimi a cercare che ti presento Stefano (Baldini)!
Con mai doma passione sportiva,
Tito Tiberti e tutta la US Sangiorgese