Che io faccia più rumore di una fanfara durante la
festa patronale pure.
Ma che la mia amatissima città, Legnano, sia in
grado di dare vita – tramite alcuni eroici condottieri – ad una manifestazione
sportiva mirabolante forse non tutti lo sanno: e allora questa storia ve la
racconto io, ovviamente a modo mio (parolacce, doppi sensi e minchiate inclusi).
C’era una volta un pazzo: si, la storia comincia
così.
C’era uno che si chiamava Alessandro e, salvo non
sia in lizza per il pontificato, penso abbia mantenuto lo stesso nome.
Questo rubicondo signorotto, riccioluto, occhialuto,
pluricellularato e ciclomunito aveva una passione, anzi ne aveva due: la corsa
e le persone. Credo che in realtà tra i
suoi interessi rientrassero anche Vasco Rossi, la beneficienza e la gnocca,
(forse non in quest’ordine) ma ne parleremo un’altra volta.
Un bel giorno il pazzo decise di organizzare una
gara podistica per le vie della sua città, per dar vita ad una corsa che
facesse divertire i partecipanti e valorizzasse non solo questo sport, divenuto
appannaggio degli over quaranta per puro spirito suicida, ma anche le
meraviglie legnanesi e le rovine storiche, tra le quali sento di potermi
annoverare in qualità di reduce dell’epica battaglia. Anzi, credo che tra un
po’ insieme al Crocione del Carroccio trasleranno in processione fino a piazza
San Magno anche me…
Dunque, inforcati gli occhiali (che un po’ mette,
un po’ toglie, un po’ gli cadono e un po’ non gli servono), a cavallo della
bici Alessandro ha misurato l’urbe centimetro per centimetro, valutando
percorsi, salite, discese, curve e rettilinei: meno male che la capacità di
camminare sulle acque è riservata ai vip, altrimenti ci avrebbe fatto fare un
passaggio anche sull’Olona.
E siccome il nostro eroe è pure una brava persona,
non ha faticato a trovare supporto nell’impresa ed è partito alla battaglia
accompagnato dall’invincibile armata: Roberto, Ezio e la bellissima Loredana,
che non si sono risparmiati ed hanno dato vita ad un evento fantastico. Consentitemi
di annoverare nella squadra anche la strafighissima Tania, maestra di tutti gli
sport che finscono con “fit”, che raccoglieva iscrizioni dell’ultimo momento,
dispensando sorrisi con i languidi occhioni azzurri ed il piercing da monella,
cui ho invidiato seriamente oltre all’aspetto fisico anche la capacità diplomatica
di non fanculizzare il prossimo, quando ti polverizza le ghiandole testicolari.
A dare colore alla giornata poi ci abbiamo pensato
pure noi, i Runners Legnano, canottierati di rosso e nero fuori stagione con
fottutissima canotta appena sfornata, elargita dal nostro pusher personale nel
parcheggio del parco, esattamente come si fa con la bamba.
Io quella canotta l’ho indossata fiera di far parte
(indegnamente) di quella squadra e di questa città. Ovviamente alcuni hanno
strafatto, correndo più veloci della luce con muscoli e tatuaggi a più non
posso, mentre io mitragliavo di minchiate il prossimo, fotografando,
disturbando e incitando con urla disumane i colleghi runners… ah, già, ho anche
corso (si fa per dire).
L’abbiamo spuntata anche con il meteo, dato che la
pioggia non se l‘è sentita di vedersela con il prode Alessandro e, salvo l’aria
mattutina frizzantina – che ha causato file interminabili ai bagni chimici di
gente che “stringeva a più non posso”– la gara si è svolta con un clima
piacevole ed evidentemente allegro.
Intanto il nostro eroe, orfano come noi tutti del
fotografo del cuore (il gaglioffo a sto giro era al pit stop, ma alla prossima
lo riacciuffiamo), perlustrava e da abile registra muoveva le fila della corsa,
facendo pure il servizio scopa (non fraintendete miei cari) e scattando
fotografie con il metodo più riuscito (“a muzzo”).
Che bello: bello davvero è stato rivedere tutti gli
amici, i conoscenti, i compagni di palestra e di merende, la gente che
condivide con me questa città da quasi mezzo secolo (ho ovviamente disturbato
tutti), alcuni colleghi (ma con quelli non ci si conosce e, all’incontro, pur
di non salutarsi, l’occhio si palla fissando l’orizzonte insensibile a
qualsivoglia accadimento la vita intorno ti stia riservando, tanto che neppure
il più forte richiamo ormonale potrebbe distoglierti da cotanta fissità). Ancor
più bello è stato sentire la gente che per strada incitava e faceva il tifo e
la transumanza dei soliti vecchi in centro, guidati dall’indomabile ed
inesauribile padre della sottoscritta, destabilizzati dal tripudio di cosce femminili
che ha inondato la città, provocando un guizzo remoto che non si riesce a
dimenticare (le unità coronariche erano tutte allertate a dovere).
Ah, colgo l’occasione per comunicare agli
automobilisti che si sono visti guastare la gita domenicale per pochi minuti di
attesa in occasione della gara, che il clacson a breve se lo ritroveranno nei
pertugi più cari e che spero che il prossimo pacco gara cittadino contempli al
suo interno piccola e maneggevole mitraglietta destinata agli strombazzatori,
caricata con deiezioni canine (e se carico a molla Vic siete tutti finiti).
Bello anche il percorso, che si snodava tra il
castello, il parco, il centro e la stazione: il nostro fiero Alberto ci ha
salutato tutti a spada sguainata (a me ha fatto pure l’occhiolino e si è dato
una grattatina).
Fantastica l’accoglienza dei medagliatori (io ne ho
avuto uno d’eccezione, cosa che mi ha lusingata ed a stento ho potuto
trattenermi dall’aprire la ruota del pavone, ma il calzoncino stretto ha
soccorso la mia dignità): tutti sorridenti, lanciavano le medaglie al collo
come novelli cowboys con il lazo ed hanno inondato di allegria coloro che,
tagliato il traguardo, riprendevano fiato orgogliosi di essere ancora vivi.
Insomma, è andato tutto bene, molto bene. Io l’anno
prossimo ci sarò, con la mia canottiera rosso nera, il pettorale appuntato e
l’arteriosclerosi a farmi da trainer. Spero di rivedervi tutti. Ma proprio
tutti. Grazie di cuore.
Mirta Marando
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