9 luglio 2012

8 lug 2012 ARMENO-MOTTARONE di M. Muraro

Sono andata ad Armeno poco convinta: dopo le salite sterrate del Devero o della Valle Intrasca (e le altre che avevo fatto in questi mesi), fare una corsa tutta su asfalto mi sembrava un’aberrazione, sottolineata anche dai commenti negativi di alcuni miei amici. Invece, un po’ devo ricredermi!
La mattina non è delle migliori, ma le nuvole sono ben accette, anche perché il percorso è tutto esposto e il sole a picco non aiuterebbe di certo a salire freschi. Le facce che incontro non sono note, anche le canotte portano nomi di gruppi di paesi relativamente lontani. Per fortuna qualcuno con cui parlare c’è sempre: Jole, che mi racconta del trail di 43km
della settimana scorsa, Salah Ouyat, reduce da una settimana di gare (come farà a vincere sempre?), Alberto Pizzi, un po’ giù di voce ma sempre bravo, Marco, Rupil…
Si avvicina il momento della partenza, e Antonio mi dà un prezioso consiglio: parti in fondo al gruppo e piano, poi man mano ti riprendi. Va a fare il paio con il suggerimento di mio fratello: i pezzi più difficili sono al secondo, al quarto e all’undicesimo chilometro. Così, concentrata su queste due informazioni e solitaria più che mai, parto. Devo dire che la salita è dura, ma mi accorgo subito che le gambe sono molto allenate, perché non avverto fatica eccessiva e anche il fiato è regolare. Continuo però ad andare lenta, ricordando i consigli dei più esperti. Arrivata a Cheggino e dopo il primo tornante comincio ad allungare un po’ e le gambe rispondono. Continuo così per tutta la gara, spingendo lungo i tratti meno impegnativi e salendo a piccoli passi negli strappi più duri. E intanto supero gente… Mi chiudo nei miei pensieri: è una gara di testa, devo solo concentrarmi e mantenere il passo, come in maratona.
Inizio però a sentire un dolore al polpaccio, sintomo di fatica accumulata durante queste settimane di gare dure, così controllo l’andatura e bevo sali ad ogni ristoro (ogni due chilometri: bravi quelli dell’organizzazione).
Meno male che conosco la strada a memoria: mi sovvengono i ricordi di quando salivo in vetta con i miei genitori, quando ci venivo con gli amici dell’età giovanile e il primo ragazzino… conosco ogni salita e ogni tornante. Questi ricordi sono utili soprattutto negli ultimi chilometri, corsi nella nebbia senza la visione della vetta. Mi chiedo quale strada dovremo fare per raggiungere l’arrivo e scopro che ci fanno passare dalla funivia: le salite sono finite!! Mi accosto ad un ragazzo che mi dice “Brava! Vai, io sono scoppiato”, e invece mi affianca e tiriamo l’ultimo chilometro come se fosse l’ultimo della vita: non vedevamo l’ora di arrivare! Finalmente si sente la voce di Pizzi e si intuisce nella nebbia l’arco dell’arrivo: gli ultimi metri da fare al massimo. Sento le incitazioni dei miei amici, passo l’arrivo e… sorpresa: 1h29’. Non ho mai guardato il GPS e rimango stupita: non sono affaticata (probabilmente avrei potuto osare di più) e ho fatto un tempo totalmente inaspettato (pensavo di chiudere in 1h40’).  Sono veramente contenta!
A questo punto i soliti rituali: ristoro, cambio indumenti, chiacchiere con gli amici, ridiscesa in macchina (per fortuna!) verso Armeno con Antonio, Salah Ouyat, il ragazzo del gorgonzola del ristoro e una ragazza di Varallo: divertente anche il ritorno!!!
Torno a casa contenta: in fondo, anche l’Armeno – Mottarone ha il suo fascino e non mi ha delusa! Magari, l’anno prossimo ci faccio ancora un pensierino…
Maria Muraro
>>>LE FOTO
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